Prescrizione dei crediti lavorativi: un problema per datori di lavoro e professionisti

Articolo di Andrea Scotto

Sovente i professionisti sono chiamati ad assistere e consigliare le aziende nei confronti delle quali vengono avanzate rivendicazioni economiche da parte dei lavoratori, soprattutto allorquando il rapporto si è concluso.

Nei suddetti casi i lavoratori domandano, anche direttamente con ricorso nanti il giudice del lavoro, la corresponsione di somme che risalgono a molto tempo prima, ponendo parte datoriale nella difficile condizione di dover reperire la relativa documentazione per contestare le pretese.

Per offrire una risposta concreta a tali problematiche è necessario esaminare sia gli aspetti inerenti la durata della prescrizione dei crediti da lavoro (art. 2946 c.c.), sia la decorrenza della stessa, in particolare soffermandoci sulla questione inerente l’individuazione del momento in cui il lavoratore può esercitare le proprie rivendicazioni.

La prescrizione dei crediti da lavoro

Anzitutto deve procedersi all’analisi dell’art. 2946 c.c.

Detto articolo afferma che tutto ciò che deve essere corrisposto dal datore di lavoro, con una periodicità annuale o infra annuale, è oggetto di prescrizione entro i successivi cinque anni: ci si riferisce, ad esempio, alle retribuzioni, alle differenze retributive, alle competenze correlate alla cessazione del rapporto di lavoro, al compenso per lavoro straordinario, alle festività coincidenti con la domenica.

Invece, la prescrizione decennale opera in alcune rivendicazioni residuali come quelle derivanti dal riconoscimento del premio di invenzione o, comunque, da titoli autonomi rispetto alla retribuzione stipendiale.

Fatte queste brevi premesse entro subito nel merito della questione.

La decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi

Con l’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, prima, e del D.L.vo n. 23 del 2015, poi, è progressivamente venuta meno la stabilità nel posto di lavoro a seguito di licenziamento illegittimo, alla quale, secondo l’indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale, era legata (almeno per i lavoratori ai quali si applica l’art. 18 nella versione originaria della legge n. 300/1970) la prescrizione dei crediti da lavoro la quale, pur essendo nella maggior parte dei casi quinquennale, decorreva in costanza di rapporto di lavoro.

In questi anni il Legislatore non è intervenuto a regolamentare la materia, sicché, ora, la Cassazione con la sentenza n. 26246 del 2022 ha sancito che, non essendoci più la tutela reale generalizzata, la prescrizione opera a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro.

La sentenza n. 26246 del 2022

La Cassazione ha affermato che “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del D.L.vo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità”.

Ebbene, cosa consegue da tale principio?

Nei rapporti di lavoro in essere, sono prescritti soltanto gli eventuali crediti maturati prima del 18 luglio 2007 (cinque anni prima dell’entrata in vigore della legge n. 92) e quelli, eventuali (coperti dalla prescrizione decennale) antecedenti il 18 luglio 2007.

Ovviamente, le nuove modalità di calcolo del regime prescrizionale non si applicano, soltanto, a chi è tuttora dipendente, ma anche a chi ha cessato il proprio rapporto nell’ultimo quinquennio.

La decisione della Cassazione non tocca però quelle prescrizioni brevi previste espressamente dal Legislatore.

E’ il caso dell’art. 29, comma 2, del D.L.vo n. 276/2003 ove si stabilisce che, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido, con l’appaltatore, nonchè con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti economici e le quote di TFR.

Tale disposizione, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 254/2017, si applica a tutti i contratti ove, in assenza di una disposizione specifica, vi sia un decentramento dell’attività produttiva, come nel caso della sub-fornitura, e dove il lavoratore può rivolgersi, direttamente, al datore di lavoro o committente fruitore finale della prestazione che, viene chiamato “in prima persona” in giudizio, senza avere alcuna possibilità di escussione del patrimonio dell’appaltatore.

Ovviamente, una volta effettuato il pagamento può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali.

Per completezza di informazione, ricordo che, secondo le indicazioni espresse sia dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro che dalla Cassazione, la prescrizione dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi resta quinquennale.

Le problematiche per aziende e professionisti

Alla luce di quanto emerso dalla sentenza della Cassazione n. 26246/2022, è da rilevare come per i crediti da lavoro lontani nel tempo e non ancora rivendicati, i datori potrebbero avere difficoltà a trovare prove ed elementi necessari per una eventuale difesa in sede giudiziale.

Di qui, la necessità per le aziende e per i professionisti che le assistono, di conservare nel tempo la documentazione e di monitorare, costantemente, la regolarità dei rapporti in essere.

Foto di Pixabay

Fonte: Dottrina Lavoro, articolo del’8 ottobre 2023, “La prescrizione dei crediti da lavoro: un problema per le aziende e i consulenti” di Eufranio Massi

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