Contratti a tempo determinato: come gestirli correttamente

Articolo di Andrea Scotto

La L. n. 85/2023 di conversione del c.d. “Decreto Lavoro” (D.L. n. 48/2023), ha modificato la disciplina del rapporto di lavoro a termine, nello specifico per quanto riguarda i limiti di durata, l’utilizzo delle causali, nonché la gestione di proroghe e rinnovi.

Dette nuove regole hanno creato qualche dubbio per gli operatori del settore, professionisti e imprese.

In particolare i dubbi sono sorti soprattutto con riferimento ai periodi di durata del contratto, che si pongono a cavallo del 5 maggio 2023, data di entrata in vigore del D.L. n. 48/2023.

A far chiarezza sulla corretta applicazione delle nuove regole è intervenuto il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la circolare n. 9 del 9 ottobre 2023.

Deve ricordarsi anzitutto che il contratto a tempo determinato (a cui spesso vi si riferisce utilizzando l’acronimo CTD) è un contratto di lavoro subordinato nel quale è prevista una durata predeterminata, attraverso l’apposizione di un termine (artt. 19-29 D.Lgs. n. 81/2015).

L’apposizione di un termine è subordinata al rispetto di determinate condizioni.

Inoltre, l’apposizione del termine è priva di effetto, se non risulta da atto scritto, fatta eccezione per i rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni.

La disciplina è stata modificata, come detto pocanzi, dalla legge di conversione del decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023, convertito in L. n. 85/2023), in relazione alla quale sono stati forniti chiarimenti da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la circolare n. 9 del 2023.

Limiti di durata

Con riferimento alla durata massima del contratto a tempo determinato, questa viene fissata in 12 mesi, con possibilità di estensione fino a 24 mesi, ma solo quando sia sussistente una delle causali che vengono individuate dal Decreto Lavoro all’art. 24:

– nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51 D.Lgs. n. 81/2015;

– in assenza delle previsioni della contrattazione collettiva sopra citate, nei contratti collettivi applicati in azienda, e, comunque, entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;

– in caso di sostituzione di altri lavoratori.

Le causali non sono obbligatorie nel caso:

– di contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni;

– di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle università private, incluse le filiazioni di università straniere, istituti pubblici di ricerca, società pubbliche che promuovono la ricerca e l’innovazione, ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di trasferimento di know-how, di supporto all’innovazione, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa.

Il contratto a termine non può, in ogni caso, prevedere una durata superiore a 24 mesi, comprensiva di proroghe o per successione di più contratti, salvo diverse previsione dei contratti collettivi territoriali o aziendali comparativamente più rappresentativi.

Deve precisarsi infine che, per il calcolo della durata massima, va considerata la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro.

Nel computo sono considerati anche i periodi relativi a missioni in somministrazione eseguite dal lavoratore presso lo stesso utilizzatore, aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale (Nota INL n. 804 del 19 maggio 2021).

Una volta raggiunti i 24 mesi di durata massima, può essere concluso un ulteriore contratto a tempo determinato della durata massima di 12 mesi a condizione che la sottoscrizione avvenga presso la competente sede territoriale dell’Ispettorato del lavoro (deroga assistita).

Le nuove regole per le proroghe

Il termine del CTD può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, esclusivamente se la durata iniziale del contratto è inferiore a 24 mesi e per un massimo di 4 volte nell’arco di 24 mesi, a prescindere dal numero dei contratti.

La proroga può avvenire liberamente nei primi 12 mesi e, successivamente, solo in presenza delle causali che legittimano la sottoscrizione di un contratto a termine.

Ai fini del computo del termine di 12 mesi si tiene conto dei soli contratti stipulati a decorrere dal 5 maggio 2023, data di entrata in vigore del decreto Lavoro (art. 1-ter, D.L. n. 48/2023).

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la circolare n. 9 del 9 ottobre 2023, ha chiarito che eventuali rapporti di lavoro a termine intercorsi tra le medesime parti in forza di contratti stipulati prima del 5 maggio 2023 non concorrono al raggiungimento del termine di dodici mesi entro il quale viene consentito liberamente il ricorso al contratto di lavoro a termine. Ne deriva che, a decorrere dal 5 maggio 2023, i datori di lavoro potranno liberamente fare ricorso al contratto di lavoro a termine per un ulteriore periodo (massimo) di dodici mesi, senza necessità di apporre causali, indipendentemente da eventuali rapporti già intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore in forza di contratti stipulati prima del 5 maggio 2023, ferma restando la durata massima dei contratti a tempo determinato prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva (non modificata dal D.L. n. 48/2023).

Tale previsione riguarda sia ai rinnovi di precedenti contratti di lavoro a termine sia alle proroghe di contratti già in essere.

La proroga, inoltre, deve essere riferita alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato stipulato e, come detto, l’indicazione della causale è necessaria solo quando il termine complessivo superi i 12 mesi.

A partire dal 5 maggio 2023 un nuovo contratto di lavoro acausale, quindi di durata massima pari ad altri 12 mesi, può essere stipulato tra le parti, così da determinare i presupposti per il raggiungimento del limite massimo di durata del rapporto di lavoro tra le stesse parti e per le stesse mansioni – pari nel massimo a 24 mesi – ma con contratti complessivamente a-causali.

Come gestire i rinnovi

La regola generale in vigore per il rinnovo di un contratto a termine scaduto prevedeva che, se avviene nei primi 12 mesi, fosse obbligatoria l’indicazione di una causale.

Ai fini del computo del termine di 12 mesi previsto per l’applicazione del nuovo regime delle causali introdotte dal decreto Lavoro si dovrà tenere conto dei soli contratti stipulati a decorrere dal 5 maggio 2023.

I mesi di contratto a termine anteriori alla data del 5 maggio 2023 non dovranno essere considerati ai fini del superamento o meno dei 12 mesi iniziali di durata, mentre saranno considerati invece ai fini del superamento della durata massima di 24 mesi.

In caso contrario occorre inserire una delle condizioni previste dal decreto Lavoro rispettando un intervallo temporale tra la sottoscrizione dei due contratti a termine, stipulati tra le stesse parti e per le stesse mansioni, pari ad almeno:

– 10 giorni per i contratti fino a 6 mesi;

– 20 giorni per i contratti di durata superiore a 6 mesi.

I limiti previsti in relazione alle proroghe e rinnovi dei contratti a termine non si applicano:

– alle imprese start up innovative (art. 25, commi 2 e 3, Legge n. 221/2012) per 4 anni dalla costituzione della società, oppure per il più limitato periodo previsto per le società già costituite.

– ai contratti per attività stagionali, che possono essere rinnovati o prorogati in assenza delle causali necessarie, con riferimento alla generalità delle attività. i rinnovi sotto i 12 mesi (dimenticati nella versione inziale) beneficiano del regime della acausalità (così come avveniva già per le proroghe);

Fonte: IPSOA, articolo del 12.10.2023, “Contratti a termine: casi pratici ed esempi per la corretta gestione” di Debhorah Di Rosa

Foto di Freepik

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